Cos’è che ti spinge a credere?

IV settimana di quaresima – Giovedì

LETTURE: Is 49, 8-15; Sal 144; Gv 5, 17-30

Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me.  Ma voi non volete venire a me per avere vita.

(Gv 5,39-40)

Sono parole che Gesù rivolge ai Giudei maestri di quella Sacra Scrittura che però non riescono a incarnare nella loro vita, a far scendere dal loro cuore tanto da permetter loro di riconoscere nell’uomo di Nazaret davanti a loro il Messia tanto atteso e profetizzato. Maestri della fede, ma senza la fede!

Ancora oggi nelle nostre chiese e parrocchie si presentano questi maestri di fede, cristiani culturalmente preparati, che conoscono a memoria il Catechismo della Chiesa Cattolica e il Vangelo. Esperti di dogmatica che hanno l’intima presunzione di aver soltanto da insegnare agli altri, ma mai da imparare. Ma qui, la questione, non è soltanto la superbia di alcuni nostri fratelli, qui siamo di fronte qualcosa che non può che toccare ognuno di noi.

La provocazione è questa: cos’è che fonda la mia fede? Cos’è che le permette di essere quella che è? Cos’è che la alimenta e le permette di non vacillare anche nei momenti più bui e nelle prove della vita?

Qualcuno forse risponderà: per me la fede è credere nelle verità che mi sono state insegnate fin da bambino al catechismo. Per altri: per me credere significa accettare tutto ciò che c’è scritto sulla Bibbia, tutto ciò che dice il Papa, il vescovo, il mio parroco.

Certo, sono cose buone e giuste, ma non è tutto. Se manca il mio rapporto con Dio, il cercarlo nella mia vita di ogni giorno, nel riconoscerlo negli occhi di chi mi è accanto e negli eventi della mia esistenza, beh è davvero poca cosa. La parola fede di per sé indica una relazione più che un assenso intellettivo a delle realtà più o meno astratte. La fede implica fiducia, fiducia in Dio. Solo nella misura in cui io mi radico in lui, posso davvero comprendere il senso delle Scritture, dei dogmi, delle verità della fede e persino della mia stessa vita anche nei suoi momenti più critici e dolorosi. Lui è la luce che illumina le nostre vite, che dirada le tenebre della nostra ignoranza, della nostra pochezza, della nostra fragilità e del nostro peccato. Un cristianesimo senza questa ricerca sofferta, faticosa, dolorosa (ma non meno entusiasmante) di Cristo, è solo ideologia, bigottismo.

Il brano del vangelo di questo giovedì della IV settimana di quaresima si conclude con il biasimo di Gesù ai suoi interlocutori:

Non crediate che sarò io ad accusarvi davanti al Padre; vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete la vostra speranza. Se infatti credeste a Mosè, credereste anche a me; perché egli ha scritto di me. Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?”.

(Gv 5,45-47)

In cosa consiste il biasimo di Gesù? I farisei avevano tutto il “materiale” rivelato per poter riconoscere nella persona del Nazareno il volto del Figlio di Dio e non l’hanno fatto. Si erano fermati alla parola scritta… si erano incartati, non sono riusciti a farsi interpellare da quella parola rivelata, non hanno saputo alzare lo sguardo.

Cosa significa questo? Anche per noi cristiani del III millennio la Bibbia riveste un ruolo centrale nella nostra vita di fede, ma essa resta sempre uno strumento, per quanto privilegiato, che deve condurci a Dio. Eppure da sola essa non basta. Ci sono state epoche non troppo distanti dalla nostra in cui l’accesso alla Sacra Scrittura era inibita alla maggioranza dei laici cristiani, ma non per questo si spense la santità tra i membri della Chiesa. Sono coloro che Papa Francesco chiama i santi della porta accanto: uomini e donne che incontriamo lungo le strade della nostra città, sul pianerottolo, gente non necessariamente dalla grande formazione accademica, ma non per questo degne di un grande spessore spirituale e morale. Gente che ha cercato Cristo, si è fatta interpellare da lui e con lui si è messa in cammino, trasformando a sua immagine e somiglianza la propria esistenza. Concludiamo allora questo articolo con un brano tratto dall’esortazione apostolica Gaudete et exsultate di Papa Francesco:

Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante. Questa è tante volte la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per usare un’altra espressione, “la classe media della santità”

Lasciamoci stimolare dai segni di santità che il Signore ci presenta attraverso i più umili membri di quel popolo che «partecipa pure dell’ufficio profetico di Cristo col diffondere dovunque la viva testimonianza di Lui, soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità»

Francesco, Gaudete et exsultate, nn. 7-8

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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