IV domenica di quaresima anno B
LETTURE: 2 Cr 36,14-16.19-23; Sal 136; Ef 2,4-10; Gv 3,14-21
La quarta domenica di quaresima è chiamata Laetare, cioè della letizia, della gioia. È lecito allora domandarsi: è possibile rallegrarsi in quaresima? La risposta è una, e una sola: certo! Anche nel momento della penitenza, del digiuno e dell’elemosina il cristiano è sempre chiamato a gioire a motivo della salvezza divina operata da Cristo che muore e risorge per ognuno di noi.
I lettura
Nella prima lettura il tema della gioia è particolarmente evidente: dopo 50 anni di deportazione babilonese finalmente gli israeliti possono tornare alla loro terra. E questo perché il Signore ha fatto sorgere come nuovo governatore di Babilonia il re Ciro, che pur rimanendo un uomo pagano, permette al popolo oppresso di tornare nella loro terra, con tutto ciò che questo significa (riappropriarsi della propria identità culturale e religiosa e della propria vita di uomini liberi), aiutandoli persino nella ricostruzione del tempio di Gerusalemme, luogo simbolo dell’identità israelitica che si riconosce e si identifica solo in relazione all’unico vero Dio.
Questo evento non può che metterci in crisi. Talvolta anche noi come Israele ci sentiamo ormai vinti, come in un vicolo cieco da dove non vediamo uscite e intorno a noi è solo tenebre e oscurità. È proprio quando la sfiducia si affaccia alle nostre coscienze, proprio quando pensiamo di essere un caso perso, Dio interviene con tutta la sua potenza e si rivela per quello che è: un Dio non solo Creatore, ma anche creativo perché si ingegna per renderci felici e trova soluzioni impensabili. Come nel caso di Israele che dopo 50 anni vede sorgere un regnante benevolo che senza alcuna vera motivazione, mosso probabilmente da un’inconsapevole ispirazione divina, ridona la dignità a un intero popolo.
Oggi allora siamo chiamati a cogliere questo invito a non disperare mai, ma soprattutto a far memoria. Durante gli anni della deportazione in Babilonia, Israele mise per iscritto tutta la sua storia sacra che è poi diventato il Pentateuco (i primi cinque libri della Bibbia), e anche noi allo stesso modo siamo chiamati a fare questo esercizio. Quando attraversiamo quelle prove che inevitabilmente la vita ci pone dinanzi, guardiamoci indietro, facciamo memoria. Soffermiamoci a quei particolari momenti della nostra storia personale quando abbiamo visto chiaramente la presenza di Dio nella nostra vita, quando l’abbiamo sentito vicino a noi con la sua consolazione, quando lo abbiamo riconosciuto in un volto o in una particolare parola per noi, quando abbiamo fatto esperienza della sua eterna misericordia o della sua immensa provvidenza. Ecco, se Dio ci è stato vicino in quei momenti bui, perché non dovrebbe esserlo adesso? Dio è fedele, gli infedeli siamo noi!
Il Vangelo
Il brano evangelico di questa domenica si apre con queste parole di Gesù:
Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Gesù si riferisce a un particolare episodio della storia di Israele, quando il popolo liberato dalla schiavitù egizia per quarant’anni si mise in cammino per dirigersi verso la terra promessa. In una particolare occasione gli israeliti si riferirono a Dio e al suo condottiero Mosè con parole molto dure:
Gli Israeliti si mossero dal monte Or per la via del Mar Rosso, per aggirare il territorio di Edom. Ma il popolo non sopportò il viaggio. Il popolo disse contro Dio e contro Mosè: “Perché ci avete fatto salire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c’è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero”. Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti brucianti i quali mordevano la gente, e un gran numero d’Israeliti morì. Il popolo venne da Mosè e disse: “Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; supplica il Signore che allontani da noi questi serpenti”. Mosè pregò per il popolo. Il Signore disse a Mosè: “Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita”. Mosè allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita.
Nm 21,4-9
Lì dove il serpente era portatore di morte, Dio lo rende strumento di salvezza e il popolo non deve far altro che guardarlo. Lo stesso accade con la croce di Cristo: quello che era un patibolo di morte infamante (Cfr. Dt 21,23; Gal 3,13) diventa causa di salvezza.
Tutto dipende da come lo si guarda. Tutto dipende dal nostro sguardo!

Ecco allora un’altra provocazione per il nostro cammino quaresimale, per la nostra vita cristiana: tutto nella nostra vita può diventare occasione di salvezza, di crescita personale e spirituale, di esperienza della grandezza di Dio. L’importante è saper affrontare queste prove con una memoria grata, per le grandi cose che Dio ha fatto per noi, e uno sguardo contemplativo, quello cioè che è capace di andare oltre la cronaca nera, gli eventi di morte e la desolazione del nostro mondo, e si sforza di riconoscere la presenza di Dio tra noi, i segni di speranza e di bellezza che ci attorniano e che purtroppo tendiamo a dare per scontato.
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