Il sottotitolo che abbiamo dato a questo nostro primo articolo, è preso da un brano del Vangelo di Luca, al capitolo 11, dove Gesù dopo aver pregato, e insegnato a pregare i suoi discepoli (vv. 1-13), esorta i suoi ascoltatori alla vigilanza e al combattimento spirituale contro le forze delle tenebre (vv. 14-26). Al termine dell’insegnamento una donna loda Gesù e benedice il grembo di colei che lo ha generato e se ne è preso cura (v. 27). Leggiamo il testo:
Mentre diceva questo, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: “Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!”. Ma egli disse: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!”
(Lc 11,27-28)
Per comprendere al meglio la risposta di Gesù dobbiamo porci una domanda cruciale: cos’è la beatitudine? Nel gergo quotidiano chiamiamo beata una persona che ha vissuto un’esistenza di santità comprovata poi da una serie di miracoli attribuiti alla sua intercessione. Tuttavia il termine greco μακάριοι è più comprensibilmente tradotto con la parola “felice”. Se la donna del vangelo benediceva chi ha fisicamente messo al mondo il Figlio di Dio, Gesù dal canto suo dice che esiste un’altra felicità ancora più grande e che consiste nell’ascoltare ed osservare la parola di Dio. Eccoci allora alla seconda domanda: cosa si intende per osservare? Il pio israelita al tempo di Gesù osservava fedelmente la legge di Dio e tutti i precetti ebraici: consiste tutta qui l’osservanza della Parola di Dio? No, o almeno, non solo. Ne è un esempio il giovane ricco: un uomo fedele dal punto di vista religioso, ma quanto mai infelice. Leggiamo sempre nel Vangelo secondo Luca:
Un notabile lo interrogò: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”. Gesù gli risposa: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non commettere adulterio, non uccidere non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e tua madre”. Costui disse: “Tutte queste cose le ho osservate fin dalla giovinezza”. Udito ciò, Gesù gli disse: “Una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; e vieni! Seguimi!”. Ma quello, udite queste parole, divenne assai triste perché era molto ricco.
(Lc 18,18-23)
L’osservanza della Parola di Dio per il cristiano non si tramuta in un semplice eseguire di precetti, ma consiste nel farsi veri e propri collaboratori di Cristo per la salvezza del mondo, cominciando proprio dalla condivisione, dal passare dall’incontro con Cristo all’incontro col fratello. Ecco in qualche modo il senso di questo articolo e di tutto il blog.
In un mondo sempre più violento, aggressivo, egoistico ed egocentrico, urge forte l’esigenza dei cristiani di riscoprire la gioia dell’incontro con Cristo per riportare pace e gioia nei cuori dei tanti nostri fratelli ottenebrati dall’idolatria del peccato, della solitudine, dell’abbandono, della disperazione. Ma a questa missione a cui Dio ci chiama, e a cui papa Francesco costantemente e in diversi modi ci esorta, non riusciremo a realizzarla se prima non ci spogliamo dei nostri preconcetti nei riguardi di Dio e impariamo a farci sorprendere da Lui. Il Dio dei cristiani è un Dio gioioso e non prenderà pace fino a quando non riuscirà a chiamare alla gioia quanti più figli possibili. È così che Gesù ce lo rivela quando dice che in cielo si fa festa per ogni peccatore pentito. Basti pensare alle parabole della misericordia in Lc 15:
Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata , pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta. Io vi dico: così sarà nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la monete che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte.
(Lc 15,4-10).
Nella successiva parabola, quella comunemente chiamata del figliol prodigo, il registro non cambia. Nella figura dell’anziano padre di famiglia, Gesù traccia l’identità del Padre che corre incontro all’uomo pentito e prontamente gli prepara un banchetto, una festa tutta per lui:
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morte ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
(Lc 15, 20-24).
Ma questo è solo un esempio, basti giusto pensare a come inizia la storia salvifica. Il Vangelo di Luca si apre con questo solenne invito alla gioia, tanto nell’annunciazione a Maria (Lc 1,28), quanto in quella ai pastori di Betlemme (Lc 2, 9-11). Anche il Vangelo di Giovanni, in qualche modo si apre nel segno della gioia, basti pensare alle nozze di Cana (Gv 2,1-11) dove la presenza di Gesù consente il permanere nella gioia di tutti gli invitati. Nel Vangelo di Matteo, poi, Gesù paragona il regno dei cieli a un banchetto nuziale (Mt 22,1-14). E, come se ciò non fosse sufficiente, nel Vangelo di Giovanni Gesù fa una promessa sconcertante: il dono di una gioia perenne.
Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: “State indagando tra voi perché ho detto: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete?” In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia.
La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. Quel giorno non mi domanderete più nulla.
(Gv 16,19-23)
Di fronte, dunque, a tutta questa ricchezza, di fronte a questo rivelarsi gioioso e rallegrante di Dio, come può il cristiano restarne indifferente? Troviamo particolarmente illuminante un passaggio della Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium di Papa Francesco che, partendo da una intuizione del suo predecessore, così scrive:
Non mi stancherò mai di ripetere quelle parole di Benedetto XVI che ci conducono al centro del Vangelo: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva». Solo grazie a quest’incontro – o reincontro – con l’amore di Dio, che si tramuta in felice amicizia, siamo riscattati dalla nostra coscienza isolata e dall’autoreferenzialità. Giungiamo ad essere pienamente umani quando siamo più che umani, quando permettiamo a Dio di condurci al di là di noi stessi perché raggiungiamo il nostro essere più vero. Lì sta la sorgente dell’azione evangelizzatrice. Perché, se qualcuno ha accolto questo amore che gli ridona il senso della vita, come può contenere il desiderio di comunicarlo agli altri? Il bene tende sempre a comunicarsi. Ogni esperienza autentica di verità e di bellezza cerca per se stessa la sua espansione, e ogni persona che viva una profonda liberazione acquisisce maggiore sensibilità davanti alle necessità degli altri. Comunicandolo, il bene attecchisce e si sviluppa. Per questo, chi desidera vivere con dignità e pienezza non ha altra strada che riconoscere l’altro e cercare il suo bene. Non dovrebbero meravigliarci allora alcune espressioni di san Paolo: «L’amore del Cristo ci possiede» (2 Cor 5,14); «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1 Cor 9,16).
Francesco, Evangelii Gaudium, nn. 7-9
Allora non possiamo non farci mettere in crisi da domande del tipo: cosa ne sto facendo dell’amore di Dio? Dio mi ha intessuto fin dal grembo materno, mi ha creato e redento ma io cosa ne sto facendo della gioia alla quale sono chiamato?
Da risposte a domande di questo tipo il cristiano di oggi è chiamato a nutrire la sua speranza e ad attingere l’entusiasmo per un vero rinnovamento spirituale. Non ci si può ancora aspettare di essere soggetti passivi della rivelazione di Cristo, della sua morte e risurrezione. Al contrario, lui che è morto per darci la vita, impone alle nostre coscienze di imitarlo nel prossimo. Ecco allora il senso di “gioia condivisa” che in qualche modo dà il titolo a questo blog. Si tratta di qualcosa che non riesce ad essere contenuto all’interno del nostro mondo, del nostro individualismo, ma ci obbliga alla condivisione, al mettere in circolo l’amore e la gioia ricevuta. Concludiamo, allora, questo nostro primo articolo, con un passaggio della Verbum Domini, l’Esortazione Apostolica di Benedetto XVI:
«Il Verbo di Dio ci ha comunicato la vita divina che trasfigura la faccia della terra, facendo nuove tutte le cose (cfr Ap 21,5). La sua Parola ci coinvolge non soltanto come destinatari della Rivelazione divina, ma anche come suoi annunciatori. Egli, l’inviato dal Padre a compiere la sua volontà (cfr Gv 5,36-38; 6,38-40; 7,16-18), ci attira a sé e ci coinvolge nella sua vita e missione. Lo Spirito del Risorto abilita così la nostra vita all’annuncio efficace della Parola in tutto il mondo. […] In effetti, ciò che la Chiesa annuncia al mondo è il Logos della Speranza (cfr 1Pt 3,15); l’uomo ha bisogno della «grande Speranza» per poter vivere il proprio presente, la grande speranza che è «quel Dio che possiede un volto umano e che ci “ha amati sino alla fine” (Gv 13,1)». Per questo la Chiesa è missionaria nella sua essenza. Non possiamo tenere per noi le parole di vita eterna che ci sono date nell’incontro con Gesù Cristo: esse sono per tutti, per ogni uomo. Ogni persona del nostro tempo, lo sappia oppure no, ha bisogno di questo annuncio. Il Signore stesso, come ai tempi del profeta Amos, susciti tra gli uomini nuova fame e nuova sete delle parole del Signore (cfr Am 8,11). A noi la responsabilità di trasmettere quello che a nostra volta, per grazia, abbiamo ricevuto»
Benedetto XVI, Verbum Domini, n. 91
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2 pensieri riguardo “Felici coloro che ascoltano la parola di Dio e la proclamano (Cfr. Lc 11,28)”